«All’estrema destra del padre. Tradizionalismo cattolico e destra radicale» (La Fiaccola, 2004) di Emanuele Del Medico, attivista e studioso del fenomeno, è un saggio che a più di quindici anni dalla sua pubblicazione sembra avere ancora molto da dire, pur in un contesto decisamente diverso.
Al volume è stato riconosciuto il merito di aver offerto la prima approfondita indagine sui rapporti tra integralismo cattolico e neofascismo, tenendo come focus il “paradigma veronese”. In particolare, durante le settimane del World Congress of Families, l’autore ha visto moltiplicarsi richieste di contribuiti da parte di giornali e riviste. Per questa occasione, come Malora, abbiamo scelto di intervistarlo per capire cosa è cambiato dall’ormai lontana uscita del libro.
Come si è sviluppato il rapporto tra destra radicale e integralismo cattolico?
Il fenomeno in Italia prende piede a partire dal sodalizio tra certe frange del fascismo del dopoguerra che si richiamano ai valori della cristianità in funzione anticomunista e ambienti tradizionalisti (ecclesiastici e laici, come Alleanza Cattolica) che si sentono traditi dal “modernismo” in atto nella chiesa cattolica, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II. Dal 1955 proprio a Verona vede la luce la rivista “Carattere”, organo di una Alleanza Cattolica Tradizionalista sulle cui pagine scrivono tanto militanti del MSI quanto giovani neofascisti. In tempi più recenti, a partire dalla metà degli anni Ottanta, sempre in riva all’Adige, cominciano a fiorire diverse sigle aderenti al tradizionalismo cattolico e che molto influenzeranno la politica locale più reazionaria. Avevano come riferimento cittadino prima la Liga Veneta/Lega Nord, poi i gruppi della destra radicale, in particolare Forza Nuova (FN). Sulla scorta di questo background localista-identitario in salsa ultracattolica non credo sia un’esagerazione oggi parlare di una certa veronesizzazione della politica nazionale. Mi sembra tuttavia che la spinta di radicalizzazione che queste formazioni portavano, sorta di think tanks atte a veicolare istanze regressive, si sia almeno in parte esaurita. Il loro conclamato obiettivo era spostare a destra le politiche sulla famiglia e sui diritti civili, agendo da pungolo medievale nei confronti dell’amministrazione, e contemporaneamente lavorare su certa memoria storica filo-tradizionalista, facendosi finanziare la loro neo-crociata revisionista con soldi pubblici. Oggi che è così à la page il pensiero sovranista, così popolare da avere infettato ampi settori della vita sociale, non c’è insomma più bisogno di sporcarsi il look con esponenti così brutalmente radicali.
Quindi è la politica istituzionale ad essersi radicalizzata più che i tradizionalisti cattolici ad essersi moderati?
Si, è la politica stessa che si è avvicinata a posizioni che una volta erano invece espressione di movimenti come FN. Di una certa rilevanza simbolica che proprio durante il World Congress of Families (WCF) tenutosi a Verona nel marzo del 2019, Luca Castellini, esponente locale di FN, sia stato allontanato dal congresso stesso mentre inveiva e rivendicava la paternità delle idee espresse all’interno.
Tornando alla storia dei gruppi locali…
I tradizionalisti cattolici veronesi avevano più sigle che militanti, è un fatto. C’erano i lefebvriani anticonciliari e i sedevacantisti – cioè coloro che, a partire da Pio XII, disconoscono l’autorità degli ultimi papi – i gruppi che peroravano la causa della messa in latino e il ritorno del rito liturgico romano antico (per inciso, Roma a parte, la diocesi di Verona è probabilmente quella che in Italia annovera il più alto numero di messe domenicali celebrate in liturgia latina), altri più attivi politicamente si dedicavano alla lotta all’aborto e al feroce contrasto omofobo di qualsiasi diritto LGBTQ, senza dimenticare i comitati antirisorgimentali per le Pasque veronesi. La maggior parte degli attivisti partecipava all’attività di più sigle; durante le uscite pubbliche avevano quindi bisogno di più visibilità e l’hanno trovata nel sodalizio con gruppi radicali come FN e Veneto Fronte Skinheads (VFS). Ricordo un episodio piuttosto significativo: in occasione di una delle tante celebrazioni delle Pasque veronesi patrocinate e finanziate dal Comune era previsto che la manifestazione terminasse in piazza Bra con tanto di spari di cannoni a salve: a chiudere il corteo formato per lo più da figuranti insorgenti e soldati napoleonici erano schierati e ben riconoscibili, immagino a difesa dello stesso, i boneheads del VFS, in un cortocircuito storico-cronologico di indubbio effetto scenografico.
Nel panorama veronese ci sono state delle tappe che hanno portato alla situazione attuale?
I primi sodalizi importanti sono stati con la Lega Nord-Liga Veneta. Penso in particolare a personaggi quali Maurizio Grassi (tra i quaranta indagati per la costituzione de l’“Armata Serenissima”) che, non so se potesse contare sul dono dell’ubiquità, ma spesso era presente in centro ai banchetti della Liga in qualità di consigliere comunale (poi passato a Forza Italia) e quasi contemporaneamente – magari sugli stessi temi – a quelli dei Gruppi di Famiglie Cattoliche, tra le principali formazioni integraliste di Verona in quegli anni. Rispetto a quella Lombarda, la Liga Veneta è stata sempre più attigua alle frange della destra eversiva, basti ricordare la figura di Franco Rocchetta, tra i fondatori, che nel 1968 partecipò a un viaggio di istruzione sulle tecniche di infiltrazione nella Grecia dei colonnelli, a spese del governo golpista, con una cinquantina di altri camerati (tra cui il leader di Avanguardia Nazionale Stefano “er caccola” Delle Chiaie, l’agente del SID Guido Giannettini e Pino Rauti, numero uno di Ordine Nuovo). Altro punto di svolta per i gruppi del tradizionalismo locale è stata ovviamente la prima amministrazione a firma Flavio Tosi, che ha completamente sdoganato il loro pensiero traghettandolo in Comune. Quando Bossi affermò che Tosi aveva portato i fascisti nella Lega la sua non era una semplice boutade.
In questo processo che ruolo svolge l’attuale amministrazione di Federico Sboarina?
L’attuale sindaco, pur appartenendo al brodo culturale della destra cattolica e fascista, non ha una fascinazione particolare nei confronti dei tradizionalisti cattolici. I quali nel frattempo si sono decisamente ridimensionati, espulsi in qualche modo dalla centralità politica nel panorama cittadino, ai margini anche geograficamente: una volta frequentavano le messe in latino nella chiesa di piazza Santa Toscana, ora si sono spostati in provincia. Ciò nonostante Sboarina è stato uno dei primi a patrocinare il WCF e a difendere le indifendibili posizioni del convegno. Ma mentre una volta si poteva dire che Verona fosse la capitale di un certo cattolicesimo intransigente, oggi non è più così. Ormai si è creata una tale comunità d’intenti nei confronti di alcuni temi forti (su tutti i diritti LGBTQ e delle donne) tra le varie correnti di una politica di palazzo populista-sovranista-reazionaria che non ha più senso andare a braccetto con soggetti spesso impresentabili. Durante la manifestazione di piazza del WCF si è notata l’assoluta marginalità delle figure di riferimento dell’integralismo cattolico locale, un tempo tra i principali promotori di analoghe iniziative.
È possibile che la situazione peggiori ulteriormente?
Federico Sboarina e Daniele Polato (assessore alla sicurezza) vengono dalla scuola tosiana, facevano parte della sua prima amministrazione. Prima di loro c’è stata la giunta di Michela Sironi, sindaca berlusconiana di centro-centro destra, che permise sovvenzioni e spazi a concerti e raduni neofascisti. Esiste insomma una lunga continuità negli atteggiamenti di esplicito supporto, o almeno estremamente permissivi, delle istituzioni locali nei confronti degli ambienti fascisti e integralisti. Una continuità precedente agli anni Settanta, addirittura al dopoguerra, e riconducibile all’esperienza della Repubblica Sociale di Salò. Sboarina e la sua corte sono figli di questa aderenza storico-ideologica. Non ho idea se si possa cadere più in basso, sta di fatto che l’attuale contesto storico lascia mal sperare.
Il governo lega-M5s ha rappresentato un’ulteriore tappa della normalizzazione del discorso integralista?
Sì, ho inoltre l’impressione che la Lega di Salvini – seppure siano continui i rimandi strumentali alla religione cattolica – guardi più al sovranismo laicista di Marine Le Pen che non a sante alleanze per un’Europa cristiana.
Ma non è anacronistico che idee quali quelle integraliste e fasciste possano ancora attecchire in ambienti giovanili come le scuole?
No, se guardiamo a quali sono le parole d’ordine della politica nazionale. Se noi, con una macchina del tempo, provassimo a tornare indietro di soli quindici anni e pensassimo alla radicalizzazione di certi temi – per esempio a quanto sia scontato ormai poter dire tranquillamente in televisione che i barconi dei migranti debbano essere affondati o che si debba denunciare/criminalizzare chi presta soccorso in mare – ci accorgeremmo che questi stessi temi erano (quasi) esclusivo appannaggio degli ambienti della destra radicale di quindici anni fa. Ora sono condivisi da esponenti moderati, normalizzati dal dibattito pubblico, rilanciati dai social. L’odio sociale e lo stereotipo razzista hanno intriso la nostra quotidianità. Risemantizzare il discorso politico e spostare l’asticella sempre un po’ più in là, può, nel periodo storico che stiamo vivendo, preparare il campo al fiorire di idee che sembravano superate. E così, anche anacronistici richiami ai crociati e ai valori della cristianità da difendere dal musulmano terrorista o da chi vuole distruggere la famiglia a suon di “gender”, possono creare quel senso di identità necessario a promuovere politiche liberticide.