Le riflessioni qui sinteticamente presentate sono parte di uno studio più ampio di prossima pubblicazione presso le edizioni Mimesis dal titolo «L’ipotesi neocattolica. Politologia dei movimenti anti-gender.»
Osservare l’osservante
Venerdì, 29 marzo 2019. Non era la prima volta che incrociavo Massimo Gandolfini, presidente e portavoce dell’associazione Family Day (ex Comitato Difendiamo i Nostri Figli), durante la mia ricerca sul campo, in quel di Verona. L’avevo già incrociato il 9 aprile 2015 a Sommacampagna, in occasione di una delle sue innumerevoli conferenze “anti-gender”. Quel giorno, per la prima volta, assistevo dal vivo con altre compagne veronesi all’esecuzione evidentemente programmata di uno script militante poi ripetuto migliaia di volte, da lui e da tutta una schiera di soggetti chiave della mobilitazione italiana contro la cosiddetta “teoria del gender” o “ideologia gender”: incontri di formazione e reclutamento tenuti da attiviste e attivisti cattoliche/ci radicali convocate/i generalmente dalle e nelle parrocchie, spacciati per conferenze scientifiche aconfessionali e apolitiche, per iniziative di informazione civica, insomma. L’ho poi incrociato di nuovo in occasione della chiusura della campagna dell’effimero Comitato delle Famiglie per il “no” al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 (di fatto il Comitato Difendiamo i Nostri Figli), in piazza Cittadella a Verona, il 26 novembre 2016, in compagnia di tutta l’imprenditoria anti-gender italiana e di qualche fervente sostegno politico, tra cui Maurizio Gasparri, Carlo Giovanardi e Eugenia Roccella, felici di posare al fianco di Gandolfini per la stampa e i media (soprattutto locali).

Nel frattempo, l’avevo anche visto all’opera sul palco del Family Dayil 20 giugno 2015 in piazza San Giovanni a Roma. Quel giorno, schiacciato tra la folla delle famiglie (soprattutto neocatecumenali), avevo assistito alla consacrazione di un leader, una figura strategica in grado di rappresentare quell’universo tutto sommato vario ed eterogeneo, fatto di associazioni già presenti sul campo da tempo (Alleanza Cattolica), altre più giovani (ProVita Onlus e Giuristi per la Vita) e altre del tutto nuove (Manif Pour Tous Italia, i Circoli “Voglio la mamma” di Mario Adinolfi), e di convertire, tra altri, consolidate realtà ecclesiali (comunità neocatecumenali) alla contestazione di piazza. Nei due anni precedenti – dalla primavera 2013, per precisione – questi soggetti, illuminati dalla guida teologico-politica di personalità come Costanza Miriano, Silvana de Mari o Gianfranco Amato, hanno lavorato intensamente per costruire un nuovo spazio di agire politico e militante che permettesse a una certa idea di religione cattolica di riconquistare fette di spazio pubblico e, per riprendere le parole dello stesso Gandolfini, “contaminare” e “fecondare” i programmi e le idee delle destre e del centro-destra, dando peraltro l’opportunità anche alla destra neofascista di ricucirsi un piccolo spazio nei punti ciechi di quell’universo militante. Come si dice, occhio non vede, cuore non duole.
Dopo averlo letto, ascoltato, visto e rivisto, riletto e riascoltato, l’ho infine ritrovato al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona del marzo 2019. Qui l’ho potuto finalmente osservare da vicino, osservare i suoi spostamenti all’interno del Congresso, osservare con chi si fermasse a parlare, chi salutasse fraternamente e chi invece in maniera più formale, o chi non salutasse affatto. L’ho osservato assumere quella posa da osservante devoto, concentrato e impegnato e vedere in lui ciò che vede la sua base simpatizzante e militante: non un leader carismatico, bensì un leader programmatico. Non un leader che smuove e agita le folle, un pastore piuttosto che guida il suo gregge a destinazione, un catechista (ruolo che ha esercitato per anni all’interno del Cammino Neocatecumenale)1 che trova le parole giuste nel momento giusto, insomma un portavoce discreto che mette in parole e costruisce discorsi funzionali a obiettivi chiari: fare di quell’universo vario e variegato, disordinato e disorientato, un movimento.
Forse in quella posa osservante, il leader del Family Day sta osservando proprio il risultato di questo lavoro: quel nuovo movimento cattolico che, in appena qualche anno, i gruppi e le organizzazioni anti-gender, ma anche pro-life e poi pro-family, guidati da Gandolfini, sono riusciti abilmente a portare sulle prime pagine dei giornali e in parlamento, al centro del dibattito politico – un movimento inaspettato a cui i leader della destra parlamentare, Matteo Salvini e Giorgia Meloni in primis, quel 29 marzo 2019, sono venuti a fare la riverenza.
Dalla Marcia per la Vita al WCF
Ho partecipato, come osservatore, al Congresso Mondiale delle Famiglie (d’ora in poi nella sua firma inglese WCF) – un evento internazionale ospitato da Verona, dall’Italia e dall’imprenditoria anti-gender italiana (ProVita Onlus, Generazione Famiglia, Comitato Difendiamo i Nostri Figli e Citizen Go) – per mettere alla prova alcune delle ipotesi su cui sto lavorando, per comprendere la genesi e la traiettoria del movimento anti-gender, ma soprattutto la sua collocazione nel contesto politico italiano e la sua singolare configurazione. Si trattava di raccogliere sul campo elementi esplicativi, esemplari o illustrativi di quel lavoro militante che ha coinvolto numerose realtà dell’attivismo cattolico radicale, ricomposte intorno alla Marcia per la Vita (a cavallo tra il 2010 e il 2011) lanciata da Famiglia Domani di Virginia Coda Nunziante e dal Movimento Europeo per la Difesa della Vita e della Dignità Umana (MEVD) all’epoca di Francesco Agnoli (poi passato al consigliere comunale di Verona, Alberto Zelger), dopo l’ammutinamento del Movimento per la Vita di Carlo Casini, troppo tradizionale e moderato. Furono quelle stesse realtà a organizzare e promuovere, sempre a Verona il 21 settembre 2013, nello stesso spazio del Palazzo della Gran Guardia, il (già contestato) convegno “Teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo”.
Questo elemento di continuità territoriale e militante (insieme ad altri importanti appuntamenti veronesi meno noti, il Convegno pro-life del 2012 e il Convegno dell’associazione “Vita è” del 2014) costituisce un primo dato significativo, e non solo perché a tutti questi convegni si ritrovano più o meno sempre gli stessi soggetti individuali e collettivi, tra cui l’allora eurodeputato della Lega, poi Ministro per la Famiglia, Lorenzo Fontana.
Il XIII WCF di Verona, promosso dalla International Organization for the Family2, sebbene si collochi in una traiettoria internazionale che oltrepassa ampiamente il movimento pro-life e pro-family italiano, non è una semplice conferenza in cui relatrici e relatori, organizzazioni e forze politiche si incontrano per discutere di tematiche su cui convergono interessi e obiettivi comuni. Il WCF rappresenta una forma di mobilitazione specifica il cui oggetto non è tanto lo scambio o la produzione di discorsi, parole d’ordine, slogan o programmi, già consolidati, bensì il movimento stesso. L’organizzazione continua di convegni che segnano delle tappe e delle svolte nella costruzione del movimento è un’attività militante in sé che ho chiamato convegnistica di movimento. Il convegno di movimento, a differenza di una conferenza accademica o di una conferenza istituzionale, per esempio, è un momento in cui attraverso la forma della conferenza, la discussione ruota intorno allo stato del movimento, alla valutazione del progetto di movimento ed eventualmente all’elaborazione di un nuovo progetto.
Paradossalmente, l’evento internazionale del WCF, per il movimento italiano ha svolto una doppia funzione: presentare la dimensione nazionale del movimento e la sua maturità organizzativa, da un lato, e la sua posizione di forza in tre campi distinti, religioso, movimentista e politico, dall’altro.
Sulla questione della dimensione nazionale e della maturità organizzativa, uno dei momenti topici del WCF è stato l’annuncio della fusione dei due nuclei operativi del movimento anti-gender ProVita Onlus e Generazione Famiglia nella nuova associazione ProVita & Famiglia. Sebbene questo rimpasto possa sembrare un semplice aggiornamento interno, si tratta in realtà di un vero e proprio salto organizzativo e operativo. Laddove Generazione Famiglia porta in dote un numero elevato di circoli territoriali che hanno svolto un ruolo chiave nella pianificazione e nella realizzazione della campagna anti-gender locale, la cui origine e le cui radici sono neocatecumenali, ma la cui ragione sociale si presenta come “apolitica e aconfessionale” e dunque apparentemente slegata dalla radice cattolica ed ecclesiale, ProVita Onlus (nata come rivista) porta con sé l’impresa comunicativa e l’expertise mediatica. ProVita & Famiglia diventa dunque il braccio armato, a livello nazionale, dell’associazione Family Day (di cui fa parte), che svolge invece un ruolo di rappresentanza nei confronti delle istituzioni e della politica.
Il posizionamento neocattolico del movimento anti-gender
D’altra parte, il WCF ha performato un triplice posizionamento di questo universo militante, il cui epicentro è appunto l’associazione Family Day guidata da Gandolfini. Anzitutto nel campo religioso. Bastava osservare l’imbarazzo del Vescovo di Verona Zenti, “invitato” alla manifestazione, ma del tutto estraneo alla sua organizzazione, nel tenere un discorso impacciato che lo ha fatto sembrare più un convitato di pietra che un oste con cui fare i conti o un ospite onorato. E bastava vedere come lo stesso lasciava, in punta di piedi, la gran sala della Gran Guardia nell’indifferenza generale per comprendere che quel movimento pro-life, anti-gender e pro-family non è un’unità operativa del Vaticano teleguidata dalle stanze papali o dagli appartamenti vescovili (eccetto quelli di qualche dissidente, come gli instancabili Salvatore Cordileone o Raymond Burke), bensì una nuova forma di movimentismo cattolico che si muove “laicamente” nel campo politico raccogliendo il testimone di una vecchia generazione di cardinali impoliticati ormai dismessa.
Il secondo posizionamento è nel campo dell’attivismo cattolico. Se fino al 2013 la retorica pro-life della difesa della vita aveva dominato i discorsi di mobilitazione, e se poi fino al 2016 il discorso anti-gender è subentrato nella grammatica della mobilitazione operando una ricomposizione del movimento intorno a una nuova causa e una nuova protesta, dal 2016 in poi la retorica della difesa della famiglia naturale è diventata il nuovo leit motiv discorsivo. Il ricentramento intorno alla retorica “per la famiglia” ha accompagnato un nuovo progetto di movimento che ha scavalcato il recinto simbolico dei movimenti pro-life per imporsi nello spazio pubblico come il nucleo argomentativo dominante all’interno del quale stanno anche le semantiche della vita e del “gender”. In altri termini, l’evento del WCF è stata l’occasione di introdurre la posizione leaderistica delle associazioni rappresentative del “Family Day” in un campo movimentista che non si limita più alla lotta contro “il gender” o “la teoria del gender”, o contro l’aborto e l’eutanasia, ma assume la funzione di rappresentanza riassumendole e incarnandole tutte nell’argomento della difesa della famiglia naturale, tradizionale ed eterosessuale, e dei bambini, ça va sans dire.
Da questo tornante deriva un terzo posizionamento, nel campo politico. Il WCF ha permesso a queste nuove rappresentanze di movimento di consolidare le relazioni con le forze politiche alleate, Lega e Fratelli d’Italia soprattutto. Nel rituale di vestizione del Matteo Salvini indossante la maglietta con logo inconfondibile della Manif pour tous del sabato pomeriggio 29 marzo è possibile poi riconoscere l’apoteosi della strategia movimentista di Gandolfini (e contemporaneamente il fallimento della strategia partitica di Adinolfi e del partito del Popolo della Famiglia). Secondo tale strategia il movimento si astiene dall’ingresso nel mercato elettorale, se non attraverso il lancio di candidati prescelti (vedi Simone Pillon). Piuttosto, il movimento svolge una funzione movimentista di laboratorio ideologico, valoriale e programmatico sui temi della vita, del genere, della sessualità e della famiglia, forgiando nell’officina delle parrocchie, della dottrina cattolica, dei testi papali e prefettizi dei vari consigli pontifici, e traducendo il tutto in un linguaggio “scientifico”, filosofico, storico o antropologico liberamente adattato, strumenti pronti all’uso politico e partitico.
Da un punto di vista strettamente politologico, il WCF e le sessioni convegnisitiche del movimento sono occasioni per scrivere e negoziare i termini del contratto partiti-movimento, per tracciare il perimetro di un nuovo blocco politico che va dal centro-destra alla destra e all’estrema destra, un blocco (ri)costruito sul repertorio di un certo cattolicesimo politico, radicale, contestatario, integralista, intransigente, ripensato e restaurato dagli imprenditori del movimento prolife-antigender-profamily, architetti e costruttori di un nuovo movimento cattolico. Quello che per cogliere l’elemento di novità nella continuità chiamo movimento neocattolico. Quello che, al grido stridente lanciato al vento da Toni Brandi nelle tre giornate veronesi, “a noi la battaglia, a dio la vittoria”, nella novità di un progetto di movimento inedito rilancia la promessa di un rinnovato risorgimento cattolico.
Massimo Prearo è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Verona e autore di La fabbrica dell’orgoglio. Una genealogia dei movimenti LGBT (Edizioni ETS, Pisa 2015) e, con Sara Garbagnoli, di La crociata “Anti-gender”. Dal Vaticano alle manif pour tous (Kaplan, Torino 2018).
1 Le informazioni sul percorso di Gandolfini sono tratte dal suo libro-intervista, scritto con il giornalista Stefano Lorenzetto, L’Italia del Family Day. Dialogo sulla deriva etica con il leader del comitato Difendiamo i nostri figli, Marsilio, Venezia 2016.
2 Rimando alla ricostruzione e all’analisi proposte da Yàdad de Guerre, per ulteriori dettagli, anche sui singoli gruppi appartenenti al movimento anti-gender italiano: www.playingthegendercard.wordpress.com