Mentre i migranti sono tra i soggetti più colpiti da questa emergenza, media e istituzioni non sembrano in grado di uscire dalle categorie razziali con le quali hanno da sempre rappresentato e governato la questione migrante. E se per il momento i migranti non occupano più come prima il dibattito pubblico, la macchina del razzismo di stato continua incessante il suo lavoro, ricordandoci che per alcuni soggetti l’emergenza era e resta la normalità.
«I migranti vengono così stretti tra situazioni di invisibilità e situazioni di supervisibilità[…]: invisibili come soggetti sociali di diritti e spesso anche semplicemente come soggetti umani, supervisibili come soggetti devianti e soggetti pericolosi.»*
Questo breve passo è un interessante punto di partenza per cercare di riflettere sulla questione migrante in questo tempo sospeso. Dall’inizio dell’emergenza coronavirus, infatti, i migranti sono spariti dai nostri discorsi. Alla supervisibilità mediatica che caratterizzava la questione migrante come problema nel tempo prima del coronavirus è subentrato un silenzio sospetto che è necessario indagare. Lungi dal segnalare un miglioramento in tema di tutele e di diritti, questo atteggiamento mediatico-istituzionale segnala una prosecuzione e talvolta un inasprimento del lavorio incessante del razzismo di stato, ma non solo, nei confronti dei e delle migranti. In altre parole, il non parlarne, ma soprattutto il non lasciar parlare i migranti mostra uno dei volti e delle forme tipiche e ricorrenti che può assumere il razzismo. Se dunque gli apparati mediatico-istituzionali hanno per motivi puramente strategici silenziato momentaneamente la questione, le esperienze quotidiane di queste persone continuano nel nome di un razzismo che mostra il suo volto peggiore. E quando alcune notizie tornano ad occupare spazio sulle testate di alcuni giornali, ecco ripresentarsi la narrazione che pone la questione migrante come problema: sociale, di ordine pubblico, e ora, sanitario.
Emblematico a questo proposito l’episodio dell’ex Hotel Monaco a Verona, dove su 140 persone un centinaio sono risultate positive al virus. Al silenzio che fino ad allora, salvo rari casi, mascherava le situazioni critiche e disperate di molti centri di accoglienza, per non parlare degli insediamenti informali, i migranti sono nuovamente tornati a ricoprire il ruolo degli untori. Untori e invisibili, dunque, perché le due cose non possono che andare assieme. È all’interno di questa cornice che si sta consumando l’ennesima vergogna istituzionale con il beneplacito della maggior parte dei maggiori mezzi di informazione. «La situazione è drammatica nella maggior parte dei centri a Verona e provincia, ma è simile anche sul resto del territorio nazionale», racconta Daniele Todesco, coordinatore dell’Osservatorio Migranti Verona. «È fondamentale sottolineare che è sempre stato così perché il sistema di accoglienza si basa su presupposti emergenziali che non fanno altro che riflettersi in maniera di assoluta violenza e disumanità sui e sulle migranti».
Il sovraffollamento in molti centri e la mancanza di un supporto diretto da parte degli operatori, in molti casi costretti allo smart working, rende i migranti ancora più isolati. In questo modo essi si trovano a poter comunicare con l’esterno solo tramite i gestori delle cooperative o, come nel caso dell’ex Hotel Monaco, con le forze dell’ordine. Da quando infatti la notizia è apparsa in prima pagina su L’Arena, la celere è arrivata a presidiare l’ex Hotel per controllare che i migranti non escano dall’isolato. In questa maniera, da problematica sociale e sanitaria che necessiterebbe un approccio radicalmente diverso, viene invece ancora una volta presentata e gestita come una questione di sicurezza e ordine pubblico. «La gravità della situazione all’ex Hotel Monaco riguarda anche il fatto che i migranti hanno scoperto dei contagi leggendo la notizia sul giornale, nessuno li aveva avvisati in precedenza, a dimostrazione del fatto del razzismo vergognoso di tutto il sistema di cui fanno parte istituzioni ma anche gli organi di informazione», continua Todesco, «questo ha creato una situazione di panico generalizzato in un già drammatico contesto, perché essendo molti asintomatici hanno saputo solo in un secondo momento chi di loro era positivo al virus».
La risposta tardiva e confusa della prefettura di Verona sulla necessità di ricollocare alcuni migranti e la mancanza di un piano socio-sanitario coordinato a livello nazionale mostra le responsabilità politiche delle istituzioni che non sembrano avere alcuna intenzione di cambiare rotta sulla gestione razziale del fenomeno. A questo proposito, sono molte le associazioni che chiedono l’immediata regolarizzazione di tutte le persone “irregolari” che si trovano sul territorio nazionale. La sanatoria sarebbe sicuramente un primo passo importante per garantire e assicurare alcuni dei diritti fondamentali a circa 600.000 persone, tra cui quello alla salute. Le parole della Ministra Bellanova su questo punto sembrano però restare ancorate al principio di condizionalità: regolarizzare i migranti per garantire la continuità della filiera alimentare. In questa direzione sembrerebbe andare il piano al quale stanno lavorando congiuntamente i ministeri dell’agricoltura, dell’interno, del sud e del lavoro, che prevedrebbe la regolarizzazione solo di quegli “irregolari” che dispongono di un contratto di lavoro. Sarebbe perciò opportuno iniziare a scindere questi due campi, e allo stesso tempo ragionare anche sulla necessità di migliorare strutturalmente le condizioni lavorative del settore agricolo.
Il caso di Verona e di altri episodi avvenuti in questi giorni mostrano tutta la fragilità di un intero sistema e il tempo che ci aspetta si appresta a scatenare l’ennesimo disgustoso e famelico razzismo dell’opinione pubblica. Mentre si attendono parziali e necessarie aperture istituzionali, «il rischio – conclude Todesco – è che il braccio repressivo dello stato stringa ulteriormente la sua morsa, e quello che è successo a Verona ne è una dimostrazione», e un’anticipazione, verrebbe da aggiungere.
*A. Brighenti, Territori Migranti. Spazio e controllo della mobilità globale, Ombre Corte,
Verona, 2010; citato in G. Campesi, Polizia della Frontiera. Frontex e la produzione dello
spazio europeo, DeriveApprodi, Roma, 2015.