venerdì, 22 Settembre, 2023
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    Medici, non untori. Specializzandi in rivolta

    di Oreste Veronesi

    Partita da Padova in seguito alla affermazioni del direttore sanitario, la protesta dei futuri medici specialisti si è allargata virtualmente in poche ore a livello nazionale. La mobilitazione ha mostrato uno dei problemi strutturali del sistema sanitario. Assieme a uno specializzando di Verona abbiamo provato a fare il punto della situazione per capire in che condizioni di lavoro sono costretti quotidianamente.


    Lunedì 4 maggio i medici specializzandi dell’azienda ospedaliera di Padova hanno incrociato le braccia e hanno scioperato. A far scattare la protesta sono state le recenti affermazioni del direttore sanitario dell’azienda, Daniele Donato, il quale
    ha accusato gli specializzandi di aver diffuso il Covid 19 negli ospedali: «quando erano in ospedale – ha affermato il dirigente – e dovevano seguire tutte le misure di barriera erano estremamente precisi e monitorati, ma nel momento in cui si trovavano nella loro sala per mangiare un panino assieme o usare il computer, questi comunque hanno trovato dei momenti di contatto e di comunione che hanno favorito la trasmissione del virus».

    La protesta ha oltrepassato i confini patavini e regionali. Al grido di “Padova in ogni città”, gli specializzandi di tutta la penisola hanno manifestato tramite i social la loro indignazione nei confronti delle affermazioni del direttore sanitario di Padova, contribuendo a creare un movimento di solidarietà del tutto inaspettato

    La protesta è stata accolta anche dagli specializzandi di Verona. Non è la prima volta che si mobilitano pretendendo maggiore considerazione del loro lavoro. Il 9 aprile 2019 a far scattare la mobilitazione degli specializzandi veronesi fu la scelta dell’università di aumentare del 20% le tasse universitarie. In quell’occasione lo sciopero fu immediato ed ebbe una partecipazione dell’80% degli iscritti, ma era per lo più circoscritto alla città scaligera.

    In quella vicenda emergeva la grande questione che caratterizza il lavoro dei futuri medici specialisti. A metà via tra lo status di lavoratori e di studenti, essi adempiscono ai doveri di entrambe le condizioni, ma non accedono ai medesimi diritti. Quando nell’aprile 2019 si raccolsero nei giardini del Polo Zanotto questa condizione venne denunciata nel comunicato fatto circolare ai media: mentre l’università aumentava di un quinto gli oneri che erano tenuti a pagare in quanto studenti, allo stesso tempo non gli concedeva una rappresentanza nel senato accademico. Ma le zone d’ombra tra queste due condizioni sono numerose e spesso più gravose. «Siamo studenti quando dobbiamo pagare le tasse, però siamo lavoratori quando siamo in reparto», mi dice Giovanni, specializzando in forza all’ospedale di Borgo Roma. 

    Le affermazioni del direttore sanitario di Padova hanno toccato un nervo scoperto del nostro sistema sanitario nazionale. «Senza specializzandi l’ospedale non andrebbe avanti», afferma Giovanni. «La situazione cambia da ospedale e da specialità, ma la stragrande maggioranza degli specializzandi – continua – non rispetta l’orario di lavoro dei contratti» e in molti casi si raggiungono le 70 ore a settimana. Il tema non è nuovo, ed è stato al centro di alcune inchieste giudiziarie che hanno aperto il vaso di pandora sui turni massacranti e il carico di responsabilità a cui sono tenuti gli specializzandi, in violazione della loro condizione di praticanti di una professione in cui non sono ancora riconosciuti a pieno titolo. Infatti, nonostante siano studenti con obbligo di 4 ore di lezione a settimana e rispettive tasse da pagare, lavorano spesso in sostituzione dei medici strutturati, specialmente nei turni di guardia. Una situazione denunciata perfino sui canali di Striscia La Notizia nel 2012, ma che ad oggi non è cambiata. 

    «Le dichiarazioni del Direttore Sanitario di Padova riassumono l’idea diffusa che enti regionali, aziende ospedaliere ed università hanno del nostro lavoro» denuncia l’associazione “Chi si cura di te?”, che raccoglie medici specializzandi, corsisti di medicina generale e camici grigi. Un lavoro che è considerato tale quando serve in corsia a coprire i turni di guardia o a tenere aperti dei reparti; quando dal proprio stipendio i futuri medici specialisti devono detrarre il costo dell’iscrizione all’ordine dei medici, ad un’assicurazione privata che li tuteli perché per i danni gravi non sono coperti dal pubblico e quando devono iscriversi all’enpam, l’ente nazionale di previdenza. Ma non sono considerati lavoratori e lavoratrici quando devono pagare le tasse universitarie, quando dovrebbero ricevere i contributi per 4 o 5 anni che passano in corsia da specializzandi, quando non hanno accesso alla mensa dell’azienda ospedaliera, o quando – e qui sta la beffa –  vengono elargiti riconoscimenti  economici per gli operatori sanitari in tempo di corona virus. 

    «Quello che facciamo l’abbiamo sempre fatto con forte senso del dovere e con piacere, ma siamo arrivati veramente ad un punto di non ritorno dopo il quale non si può reggere ulteriormente il peso degli insulti e del trattamento che riceviamo ormai da anni e che si è acuito negli ultimi giorni», afferma uno specializzando dell’Università di Padova. «Se non dovessero esserci risposte – conclude – e non si dovesse arrivare a un accordo, siamo disposti ad allargare lo sciopero». E non è escluso che lo sciopero si possa allargare a tutto il territorio nazionale.