venerdì, 2 Giugno, 2023
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    I militari aiutano l’amministrazione a non parlare dei problemi della città

    di Oreste Veronesi

    Da qualche anno le politiche di pubblica sicurezza tendono a militarizzare i territori. I dati mostrano che non hanno contribuito a rendere più sicure le città, ma hanno aiutato le istituzioni a non parlare e intervenire sui problemi reali della popolazione


    Venerdì 26 Giugno, intervenendo nel corso di una riunione del Comitato per l’Ordine e la sicurezza pubblica-COSP, l’assessore alla sicurezza Daniele Polato ha chiesto un maggior impiego di militari per presidiare il territorio, con l’obiettivo di rendere «Verona una città sicura e accogliente».

    La prima volta che furono impiegati i militari per misure di prevenzione della criminalità, era il 2008. Quell’anno segnò una svolta in merito al tema della sicurezza urbana. Il 4 agosto 2008 il governo Berlusconi IV istituì l’operazione “strade sicure” con cui si impegnò a dispiegare su tutto il territorio nazionale 7.000 militari dell’esercito italiano. Lo scopo era di intervenire in «specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, in aree metropolitane o densamente popolate». Ora per le strade era possibile veder girare mezzi blindati e personale militare armato di mitragliatrici da guerra. Il nostro immaginario ne fu mutato in modo irrimediabile. I militari dalle strade non se ne sono più andati. 

    Quella fase segnò una svolta nell’intervento politico in tema di sicurezza urbana. In quello stesso anno venne varato il “pacchetto sicurezza”, un insieme di norme che mirava ad intervenire sul senso di insicurezza degli individui, e non sulle cause di quest’ultima.  E’ in quel pacchetto di norme che venne definito il reato di clandestinità, che mutò radicalmente l’immaginario sociale in tema immigrazione, oltre che intervenire con modalità repressive sulla vita di migliaia di persone. Ma nello stesso pacchetto furono ampliati i poteri dei sindaci in materia di pubblica sicurezza, con risultati di cui ancora oggi subiamo gli effetti. A guidare il Ministero dell’Interno era il leghista Roberto Maroni, mentre alla Difesa sedeva Ignazio La Russa, all’epoca aderente al Popolo delle Libertà, oggi in Fratelli d’Italia.

    Da qualche anno molte amministrazioni, sia di destra che di centro sinistra, si erano impegnate a porre all’ordine della loro agenda politica questioni di sicurezza pubblica. Nelle politiche delle amministrazioni ciò significava caccia ai rom, ai clochards, ai migranti. Nel discorso pubblico era definitivamente tramontata la connessione tra sicurezza e diseguaglianze sociali, per lasciare spazio a diverse forme di prevenzione autoritaria. La povertà non era più un problema, veniva semplicemente nascosta o criminalizzata. 

    Ma il 2008 è stato anche il primo anno di una delle più grandi crisi economiche dell’ultimo secolo. L’intervento militare sul territorio, l’acutizzarsi di politiche securitarie e l’espandersi di poteri in materia delle amministrazioni locali, allora corrispondeva ad una necessità politica: evitare l’emergere di diffusi conflitti sociali. Mentre diminuiva il potere di intervento delle istituzioni in materie economiche e fiscali, aumentava l’intervento poliziesco delle stesse sui territori. Queste politiche di controllo vanno lette dentro la crisi del welfare e il conseguente ampliarsi di fenomeni di precarizzazione. Come ha notato la sociologa Sonia Stefanizzi, «se oggi vivessimo in un contesto sociale, economico e politico ove fosse garantita una piena soddisfazione dei bisogni, molto probabilmente non sarebbe necessario porre ossessivamente il problema della sicurezza».

    La questione securitaria, però, assolve a una duplice funzione politica: prevenire l’emergere di conflitti sociali e allo stesso tempo spostare l’attenzione dalla radice di quei conflitti, contribuendo a nascondere forme di criminalità che dovrebbero aver ben altro peso nel dibattito pubblico. «L’enfasi sulle inciviltà come segno e sintomo di potenziali devianze e delinquenza – ha scritto la criminologa Tamar Pitch – sposta l’attenzione di polizia e agenzie di ordine pubblico su queste, piuttosto che su illegalità vere e proprie».

    A cosa servono oggi i militari a Verona? Dal primo giorno di insediamento l’amministrazione guidata dal sindaco Federico Sboarina si è distinta, grazie all’assessore Polato, per una sistematica caccia al degrado. Dove il degrado è stato impersonificato nei migranti che sostano nei parchi pubblici, creando scalpore in una parte di popolazione non più abituata a vivere gli spazi della propria città; o in persone che occupano abusivamente degli stabili abbandonati, non avendo altre strutture di protezione per la notte. L’ossessione securitaria non rispondendo ad una reale necessità (le statistiche mostrano una diminuzione continua dei reati) funziona molto bene per non parlare dei problemi di Verona, alimentando quello stesso senso di insicurezza su cui si vorrebbe intervenire.

    La presenza capillare di telecamere e personale delle forze dell’ordine induce alla percezione di un rischio che molto spesso non esiste, ma che è reso reale proprio dalla presenza diffusa di forme di controllo e prevenzione, oltre che da un’informazione incline alla retorica securitaria. Inoltre, queste politiche eludono l’intervento sui problemi sociali che sono alla base del diffuso senso di insicurezza. Così facendo mantengono e approfondiscono quel deteriorarsi delle relazioni sociali, del senso di comunità che dovrebbe invece essere la spia guida delle politiche cittadine. I problemi sociali sono privatizzati e le politiche delle amministrazioni spogliano gli spazi pubblici dalla loro naturale funzione: quella di luoghi di incontro e relazioni. 

    Nel corso della conferenza stampa, l’assessore Polato ci ha tenuto a ringraziare «i cittadini, le cui segnalazioni si rivelano fondamentali per intervenire in modo puntuale ed efficace in tutti i quartieri della città». Se la stessa forma di controllo popolare del territorio fosse attuata per identificare i locali di Verona dove si pratica lavoro nero, sottopagato, sfruttato e precario, forse il tema della sicurezza potrebbe essere visto da una prospettiva diversa e affrontato come problema collettivo. Ma non è questo che importa all’amministrazione. Come non importa parlare delle infiltrazioni ‘ndranghetiste in città. Quando nei primi giorni di giugno l’ex presidente dell’azienda partecipata AMIA è stato arrestato nell’ambito dell’indagine “Isola Scaligera”, le uniche parole che il sindaco è riuscito ad esprimere sono state di rimando alla fine delle indagini. Un tema troppo scomodo che non può essere sbandierato come lo sgombero di una casa occupata da delle persone senza fissa dimora. 

    Eppure il tema delle infiltrazioni mafiose a Verona dovrebbe assumere un peso politico rilevante se Nando Dalla Chiesa, presidente onorario di Libera, ha affermato che «Verona è il centro di smistamento del traffico di stupefacenti più grande dopo Milano». Ma questi temi non contribuirebbero ad alimentare materiale utile  all’amministrazione, anzi, ne minerebbero la base elettorale. Si potrebbe poi parlare della sicurezza cittadina in merito alla possibilità di spostarsi senza un mezzo privato e attraverso una rete di mobilità sostenibile, economicamente accessibile e ramificata sul territorio. Ma anche in questo caso l’amministrazione dovrebbe parlare del disastro annunciato del Filobus.

    E allora meglio chiamare i militari per strada. Così facendo l’amministrazione potrà eludere i problemi sociali e ambientali cittadini continuando a far finta che la sicurezza e il decoro si possano attuare evitando schiamazzi notturni o la presenza di persone ai margini della società in luoghi centrali della città.