venerdì, 22 Settembre, 2023
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    Un tampone per il governatore: la retorica di Luca Zaia

    di Alessandro Foladori

    Luca Zaia ha tratto profitto dalla pandemia per consolidare il suo già enorme successo mediatico. Si prepara a concorrere per il suo terzo mandato e molti lo considerano l’uomo della Lega più popolare, anche più di Salvini. Malora si è proposta di capire come funzionino le sue strategie retoriche a partire dalla conferenza stampa al vetriolo del tre luglio.


    Il due luglio risultano per il Veneto cinque nuovi casi positivi al tampone per il Covid-19, che hanno generato il ricorso all’isolamento fiduciario di quattordici giorni per 52 persone a Vicenza e 37 a Verona. Sono stati richiesti i tamponi per queste persone e i primi risultati sono stati negativi. Da un punto di vista astratto questa informazione non ha nulla di sorprendente, cinque casi positivi in un giorno in una regione rientrano perfettamente nel quadro statistico del post-lockdown, anche per quanto riguarda il virtuoso Veneto. Di fatto però risultano strane le circostanze di questi contagi e dei successivi isolamenti, tanto da far parlare di un nuovo focolaio a Vicenza. 

    Pare che il “caso indice” di tale focolaio abbia cominciato a manifestare sintomi influenzali dal 25 giugno, di ritorno da un viaggio di lavoro in Serbia, e si sia presentato per una visita due giorni dopo. Risultato positivo ha rifiutato il ricovero per altri due giorni, prima che le pressioni del SISP e l’aggravarsi dei suoi sintomi lo costringessero. Positivi sono risultati anche i colleghi che viaggiavano con lui, e un’altra persona che ha avuto contatti con questo “caso indice”. A questo si aggiunge una certa reticenza o dimenticanza nel fornire una lista chiara dei contatti avuti nei giorni immediatamente precedenti e successivi al tampone. Non c’è dubbio che la condotta di questi pazienti superi di una buona misura la spensieratezza e possa aver causato effetti drammatici per loro stessi e per un centinaio di altre persone. La situazione sembra al momento sotto controllo, ma l’indice Rt del virus del Veneto è salito nelle stime a quota 1,63, quando precedentemente era riuscito a scendere a 0,43. Per chi volesse, informazioni più precise su questo caso stanno comparendo mentre scrivo su quasi tutti i quotidiani online, e sono reperibili con dovizie di particolari anche nella relazione ufficiale prodotta dalla conferenza stampa di Luca Zaia del tre luglio.

    Il governatore del Veneto, dopo aver sospeso a fine giugno la trafila interminabile delle sue conferenze stampa (una al giorno fino alla puntata 130), si è sentito in dovere di tornare al tavolo per lanciare da dietro i microfoni un minacciosissimo discorso di fuoco, ritenendo inaccettabile questo numero di contagi e l’aumento dell’indice Rt. Prima di dire qualcosa sulle parole obiettivamente inquietanti di Zaia, è necessario però fare chiarezza su un punto. L’indice Rt con cui da qualche tempo viene stimata la pericolosità del virus SARS-CoV-2 non è l’indice R0 adottato dall’OMS. Quest’ultimo rappresenta la media numerica di casi secondari a partire da un caso indice, e può avere leggere variazioni a seconda della progressione nella raccolta di dati. Per esempio il SARS-CoV-2 presenta un indice R0 di circa 2,5 punti, e lì si continua ad attestare con lievi oscillazioni. Al contrario l’indice Rt, o indice di trasmissibilità, indica la possibilità che il virus venga trasmesso in base ad alcune situazioni contingenti, come le misure di lockdown, e di conseguenza è soggetto a oscillazioni più ampie. Basti pensare che la Lombardia (la stessa Lombardia che ha chiuso il più tardi possibile e ha subito le conseguenze di privatizzazioni scellerate della sanità, la stessa Lombardia che ad oggi ha oltre 9000 casi positivi, circa otto volte più del Piemonte, secondo classificato) attorno a fine aprile presentava un Rt di 0,4. Questo è quindi un dato destinato ad aumentare ad ogni rialzo di contagi e isolamenti, ma che rappresenta un serio fattore di preoccupazione solo quando associato ad altri elementi della situazione, come ad esempio la disponibilità dei posti in terapia intensiva (oggi molto lontani dal sovraccarico).

    Ciò detto, per Zaia il rialzo visto dalla sua regione è intollerabile, probabilmente anche per la fiducia incondizionata che ripone in quel numerino che il primo giugno (Rt Veneto 0,6) lo portò a sostenere che «se avessimo una piazza con 1.000 persone, non ne avremmo neanche una contagiata», esibendo un’ingenuità e un’irresponsabilità francamente sconsolanti, e dimostrando di non aver capito nulla dei dati che dispensa, né del loro possibile utilizzo nelle situazioni concrete. Quando il tre luglio Zaia prende parola, dopo aver tuonato contro il rialzo dell’Rt, si esprime in questi termini: «Se continuiamo ad andare in giro senza mascherine negli assembramenti, continuiamo a pensare che i complottisti abbiano ragione e il virus sia un’invenzione dei Big Pharma, dei marziani o delle astronavi è inevitabile che poi vengano fuori ‘ste robe – e prosegue – O peggio ancora qualcuno che pensa che questo virus sia solo per alcune categorie sociali, per alcune fasce d’età». Ci si trova di fronte ad un capolavoro retorico: la responsabilità del contagio è di non meglio identificati assembramenti – in probabile riferimento alla temibile movida che dalla fine del lockdown non ha provocato rialzi significativi nei contagi – in cui non viene indossato l’accessorio feticcio della pandemia, la mascherina che unica potrà proteggerci dalla morte indipendentemente dalle politiche sui tamponi e altre misure istituzionali, mentre tutti coloro che si oppongono alle parole dello stesso Zaia sono equiparati ai complottisti

    Una mossa, questa, che squalifica a priori qualsiasi contestazione nel merito delle misure adottate, come se argomentare a favore di possibilità alternative fosse lo stesso che dire «il virus non esiste». La frase successiva non è migliore, perché a Zaia forse sfugge che questo virus riguarda soprattutto certe categorie sociali: operai costretti a lavorare in stato di insicurezza, disoccupati lasciati alla fame dall’assenza delle istituzioni, intere categorie lavorative non riconosciute, migranti per cui si improvvisano sanatorie criminali. È più probabile però che non gli sfugga e che preferisca equiparare chi solleva questo problema a coloro che sostengono il delirio della pulizia etnica dei vecchi improduttivi. A questo segue un elenco agghiacciante di sintomi che non può avere altro scopo che spargere il terrore, facendo sentire ancora più in colpa i singoli individui già moralmente distrutti, mentre il padre buono a capo delle istituzioni regionali ha fatto tutto quanto poteva e doveva, come ci ha ricordato ogni giorno per mesi. Successivamente estrae dal cilindro un altro suo cavallo di battaglia, il clima: «Di scientifico non c’è nulla sul caldo, ma magari il caldo ci aiuterà a tener[e il virus] spompato, ma quando tornerà la brezza autunnale è inevitabile che qualcosa accada». 

    Dopo aver detto che intende solo «riportare i fatti» gli sfugge questo cortocircuito logico senza capo né coda. Se sta dicendo una cosa senza fondamento scientifico, che cosa ci sarebbe di «inevitabile»? E viceversa, se quell’esito è inevitabile, dove sono le argomentazioni? Sia chiaro, non si sostiene qui la priorità del discorso scientifico ad ogni costo, ma Zaia vi è sempre stato fedele, e si vede bene qui che l’uso che ne fa è eminentemente politico: instillare nei suoi governati il timor panico di un vicinissimo futuro in cui avranno bisogno di lui, che così bene ha ingaggiato battaglia con il nemico invisibile nei mesi passati. È solo a questo punto che descrive i provvedimenti, concreti e fantasiosi, che intende adottare: «visto che il richiamo all’etica e al rispetto non serve noi intanto presentiamo lunedì un’ordinanza per inasprire tutto quello che sono le regole», ma non abbiamo alcuna anticipazione sui contenuti di questa ordinanza perché la continuazione è un elenco disarticolato di minacce: «se fosse per me prevederei la carcerazione», «il ricovero deve essere coatto. Ci diano gli strumenti per fare i ricoveri e buttare via la chiave», «È fondamentale il ricovero coatto che deve essere un TSO, non possiamo stare lì a discutere». 

    Anche in questo caso la strategia è chiara: Zaia, come il destino degli stoici, accompagna coloro che lo accettano, e trascina chi lo rifiuta. Con estremo candore passa dall’ospedale al carcere mostrando che per lui sono esattamente la stessa cosa, ovvero dei posti in cui si incrociano le due necessità di imprigionare i malati per isolarli e di punirli per la loro riottosità e “irresponsabilità”. Particolarmente violento è il richiamo al TSO che, oltre al fatto che può essere disposto solo dai sindaci su richiesta di due medici, è considerata una misura di enorme limitazione delle libertà personali da adottare esclusivamente come extrema ratio, ed è stato già ampiamente criticato come provvedimento maneggiato dal potere amministrativo in vece di quello sanitario. Non solo ma, benché il TSO sia un dispositivo sanitario tout court, è associato nell’immaginario comune al trattamento di pazienti psichiatrici gravi, a cui Zaia sta qui paragonando gli “irresponsabili” della pandemia, immuni ai richiami all’etica e al rispetto.

    Ma è solo in conclusione del monologo che si comincia a scorgere il motivo di tanta rabbia: «A livello nazionale bisogna prendere in mano questo dossier, non il dossier di questi casi, ma in generale. Questi casi li abbiamo sotto controllo». Ecco il punto: la regione Veneto, incarnata da Luca Zaia, avrebbe già da tempo sconfitto il virus, se non fosse per l’amministrazione centrale che disarma sistematicamente i provvedimenti belli e buoni del governatore, e rifiuta di «prendere in mano il dossier generale» (che cosa sia questo dossier non è chiaro), lasciando alla coraggiosa iniziativa della regione di tenere «sotto controllo» i casi. In altre parole: tutto il bene è merito di Zaia, tutto il male è colpa di Conte e dei cittadini, con una giravolta da Lega vecchio stile che avrebbe fatto arrossire Umberto Bossi. Il concetto viene rimarcato poco dopo, esibendo la propria prontezza: «Abbiamo dato ordine ai SISP di tolleranza zero e di procedere con le denunce. Questa non è una dittatura, questo è il piano di sanità pubblica, vorrei ricordare». Soprassediamo per un istante sulla coda di paglia del governatore che sa perfettamente di aver sdoganato (al momento a parole) delle misure dittatoriali e cerca di disinnescarne le conseguenze, e concentriamoci sulla dedizione con cui si riferisce alla sanità pubblica. La stessa sanità pubblica che, come è stato rilevato, Zaia ha cercato per anni di distruggere, spingendo sull’acceleratore delle privatizzazioni secondo il modello Formigoni, che si è visto bene quali conseguenza ha avuto in Lombardia. Inoltre ci rassicura mostrando di aver suggerito l’uso del pugno di ferro alle SISP, ma evidentemente non ha suggerito l’uso dei tamponi, visto che secondo un report della Fondazione GIMBE è da giugno che il numero di tamponi effettuati in Veneto è in crollo verticale. Zaia è così lontano dalla realtà e omette così tante informazioni che persino Andrea Crisanti, il golden boy di Vò Euganeo, lo ha pubblicamente osteggiato, dicendo che i focolai sono normali e fare i tamponi è l’unico modo per monitorare la situazione e poter intervenire. Crisanti aggiunge inoltre che i due tecnici virologi vicini a Zaia hanno sottoscritto la lettera di Alberto Zangrillo, che destò scandalo per aver dichiarato che il virus ha «perso potenza». 

    Si sarebbe potuto dire infatti che Zaia (con il suo delirio sulla «piazza da mille persone») e i suoi consiglieri potessero passare, fino al tre luglio, come quei complottisti che negano l’esistenza del virus e si comportano di conseguenza. È in fondo sempre di Zaia la dichiarazione che «se il virus perde potenza, vuol dire che è artificiale»: una conclusione folle a partire da una premessa falsa. E falsa perché indimostrabile, un po’ come l’effetto del caldo. Tanto è vero che in una conferenza stampa straordinaria del giorno dopo, il quattro luglio, Zaia si è affrettato a dire che questo focolaio non ha nulla di veneto, è stato importato dalla Serbia, così come sono immigrati un centinaio di persone in isolamento. Il tasso di contagio del Veneto sarebbe infatti «quasi zero, o proprio zero». E anche per quanto riguarda l’ordinanza smentisce di aver parlato di inasprimenti per i cittadini (ma chi sono, quindi, gli “irresponsabili”?), ma solo per chi è in isolamento, calcando la mano sul TSO, che per l’appunto non è di sua competenza amministrativa.

    Cos’è successo quindi? Luca Zaia ha perso la testa? Tutt’altro. Zaia è un perfetto emblema del politico italiano contemporaneo, cioè una persona in campagna elettorale permanente, impegnato a costruire la base della sua successiva candidatura: in questo caso il terzo mandato da governatore. Zaia ha capitalizzato sull’iniziativa personale di Crisanti (che cominciò facendo tamponi fuori dalla legislazione prevista) e ha potuto vendere la sua immagine come strenuo difensore della sanità che funziona, del modello Veneto, puntando sul fatto che nessuno si sarebbe ricordato dei suoi tentativi di privatizzazione, come poi è accaduto. In parallelo si è del tutto calato nel ruolo del castigamatti contro gli “irresponsabili” (i quali statisticamente è probabile siano suoi elettori), il che gli ha permesso di trovare un nemico e additarlo tutti i giorni per 130 giorni, senza che alla lettera muovesse un dito, se non per emanare ordinanze sempre un pelo più restrittive degli standard nazionali, facendo a gara con Conte su “chi si impegnava di più”. L’ultimo mese, mentre i tamponi eseguiti calavano, ha cercato di rassicurare la base elettorale sua e della Lega, vale a dire piccoli e medi imprenditori, mostrando come funzionassero bene i “provvedimenti” presi dal loro governatore e come il virus fosse stato debellato nel Veneto del popolo del fare, che sarebbe presto tornato al lavoro a pieno regime. Questo focolaio vicentino era una potenziale randellata sulla sua campagna elettorale, e Zaia ha risposto nell’unico modo coerente con il suo percorso: ha scaricato la responsabilità a qualcun altro, ha preso alla meno peggio i dati che di volta in volta gli facevano più comodo, e si è predisposto a mostrare i muscoli per salvare la faccia e continuare a vendersi come inflessibile sentinella contro il virus, in barba a qualsiasi realismo o memoria storica. Questa illusione verrà pagata dai veneti in un momento di fragilità economica e psicologica estrema. La speranza è che ci si accorga a questo punto che un prezzo tanto alto lo si è pagato solo per il biglietto di uno spettacolo che non fa più ridere nessuno.