“Il nostro sogno è che se lavoriamo sodo saremo capaci di vestire i nostri figli in modo decente ed avere ancora un po’ di tempo e soldi per noi stesse. E se ci comportiamo bene, tanto quanto gli altri, avremo lo stesso trattamento e nessuno si comporterà male con noi perché non siamo come loro […] allora ci chiediamo “come possiamo fare perché queste cose si avverino?” E siamo arrivate più o meno a due sole possibili conclusioni: vincere la lotteria, o auto-organizzarci. È tutto quel che posso dire, a parte il fatto che non sono mai stata fortunata coi numeri. Scrivi così nel tuo libro: e dì loro che ci vorrà tempo perché le persone smettano di pensare che non devono organizzarsi, e che comincino a farlo! […] perché l’unico modo per avere un po’ di potere sulla nostra vita è di conquistarlo collettivamente, con il sostegno delle altre persone che condividono i tuoi bisogni (Irma, lavoratrice filippina nella Silicon Valley, California 1993).”
Ho sostenuto che la posizione particolare delle lavoratrici del Terzo Mondo in questa fase dello sviluppo del capitalismo globale fornisce un punto di vista privilegiato (1) da cui rendere visibili e trasparenti particolari pratiche di dominio e di ri-colonizzazione, mettendo in luce i singoli processi locali e globali della ri-colonizzazione capitalistica delle lavoratrici, e (2) a partire dal quale individuare le comunanze di esperienza, storie e identità alla base della solidarietà e dell’organizzazione delle lavoratrici del Terzo Mondo a livello internazionale. La mia idea, qui, è che la definizione dell’identità sociale delle donne in quanto lavoratrici non si fonda solo sulla classe ma, di fatto, in questo caso, deve essere radicata in una lettura delle storie ed esperienze di lavoro caratterizzate dalla razza, dal genere e dalla casta. Ho sostenuto, infatti, che il lavoro a domicilio è una delle forme più significative e repressive di “lavoro femminile” nel capitalismo globale contemporaneo. Nel far emergere l’ideologia della “lavoratrice del Terzo Mondo”, creata nel contesto della divisione globale del lavoro, ho individuato le differenze che identificano storie specifiche di disuguaglianza, ossia storie di genere e casta/classe nel contesto del Narsapur, e storie di genere, razza e individualismo liberale nella Silicon Valley e in Gran Bretagna.
Tuttavia, la mia riflessione non vuole suggerire la diversità ed estraneità di queste storie. Nel porre l’accento sul lavoro a domicilio delle donne come forma particolare di sfruttamento delle donne del Terzo Mondo nell’economia contemporanea, voglio anche porre in primo piano quella che sembra una storia comune alle donne del Primo e del Terzo Mondo: la logica e l’operare del capitale sulla scena globale contemporanea. Sostengo che gli interessi del capitale transnazionale contemporaneo e le strategie che esso impiega lo rendono capace di recuperare le gerarchie sociali indigene e di costruire, riprodurre e mantenere ideologie di mascolinità/femminilità, superiorità tecnologica, sviluppo necessario, lavoro qualificato/non qualificato e così via. In questa sede mi sono occupata di queste ideologie nei termini della categoria di “lavoro femminile” che ho mostrato essere radicato nell’ideologia che costruisce la “lavoratrice del Terzo Mondo”. È in tal senso che l’analisi della posizione delle donne del Terzo Mondo nella nuova divisione internazionale del lavoro deve attingere dalle storie di colonialismo e razza, classe e capitalismo, genere e patriarcato e dalle rappresentazioni dei ruoli sessuali e famigliari. L’analisi della definizione e ridefinizione ideologica del lavoro delle donne individua una base politica per le lotte, ed è questa particolare forma dell’unità politica delle lavoratrici del Terzo Mondo che io vorrei far mia. Essa si sviluppa in contrapposizione all’idea astorica di una comunanza di esperienza, sfruttamento e forza tra le donne del Terzo Mondo, o tra le donne del Primo e del Terzo Mondo, utile solo a naturalizzare le categorie normative del sé e dell’altro proprie del femminismo occidentale. Se le donne del Terzo Mondo devono poter esser considerate dei soggetti di teoria e lotta dobbiamo prestare attenzione alle specificità, alle comunanze e differenze tra le loro e tra le nostre storie.
In sintesi, questo capitolo pone in luce le seguenti questioni politiche e analitiche in riferimento alle lavoratrici del Terzo Mondo sulla scena globale: inscrive un particolare gruppo di lavoratrici nella storia e nelle dinamiche dell’egemonia capitalista contemporanea; rintraccia le connessioni e il potenziale per una solidarietà tra le lavoratrici che vada oltre i confini degli stati-nazione e che si fondi sulla demistificazione dell’ideologia del lavoratore mascolinizzato; fa emergere la definizione domesticizzata del lavoro delle donne del Terzo Mondo come strategia della ri-colonizzazione contemporanea ad opera del capitalismo globale; suggerisce come le donne condividano interessi in quanto lavoratrici che non coincidono solo con la trasformazione delle loro vite e dei contesti di lavoro, ma anche con una ridefinizione degli spazi domestici che permetta il riconoscimento del lavoro a domicilio come attività lavorativa per reddito, e non di svago o secondaria; pone in primo piano la necessità di sviluppare una coscienza di liberazione femminista su cui fondare l’organizzazione e la lotta collettiva femminista per la giustizia economica e politica; fornisce una definizione operativa di comunanza di interessi tra le lavoratrici del Terzo Mondo fondata sulla teorizzazione di un’identità sociale comune in quanto donne e lavoratrici; e, infine, passa in rassegna le forme quotidiane di resistenza e di lotta collettiva e le strategie utilizzate per organizzare le lavoratrici povere del Terzo Mondo. Irma ha ragione quando afferma che “l’unico modo per ottenere un po’ di potere sulle nostre vite è di farlo collettivamente, con il sostegno di chi condivide i tuoi bisogni” (citato in Hossfeld 1993, p. 51). Come definire gli interessi e i bisogni comuni – ad esempio l’identità delle lavoratrici del Terzo Mondo – perché formino una base potenzialmente rivoluzionaria per la lotta contro la ricolonizzazione capitalista e per l’autodeterminazione e l’autonomia femminista, resta una questione difficile. Tuttavia, come la lavoratrice maquilladora Veronica Vasquez e le donne del Sewa dimostrano, le donne stanno già portando avanti queste lotte. L’inizio del Ventunesimo secolo può essere caratterizzato dall’esacerbarsi delle politiche sessuali del dominio e dello sfruttamento da parte del capitale globale, ma indica anche il prospettarsi di una rinnovata politica della speranza e della solidarietà.
Illustrazione di Edoardo Marconi