venerdì, 22 Settembre, 2023
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    Maid | Realtà o fiction?

    di Andrea Buscardo

    La scorsa settimana il PM della Procura di Benevento Flavia Felaco ha deciso per l’archiviazione di un caso di presunto stupro di un marito ai danni della moglie. Le motivazioni e le parole usate dal pubblico ministero testimoniano ancora una volta l’infinita serie di ostacoli e disconoscimenti che le donne vittime di violenza sono costrette  a vivere, specialmente se la violenza non lascia segni visibili sul corpo. Di una delle tante forme di violenza invisibile – quella psicologica – racconta anche la serie Maid, uscita su Netflix all’inizio dell’autunno scorso.


    «Atti carnali che devono essere ridimensionati nella loro portata».
    Queste sono le parole della PM Flavia Felaco della Procura di Benevento, in merito ad un presunto caso di stupro da parte di un uomo ai danni della moglie, che ora vive in un centro antiviolenza. Secondo la PM, infatti, un marito deve “vincere quel minimo di resistenza che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende a esercitare quando un marito tenta un approccio sessuale”. La scorsa settimana il caso è stato archiviato poiché la violenza non è stata riconosciuta: il reato è inesistente.

    Sembra fiction, come quella messa in scena da Netflix in Maid, miniserie televisiva di 10 puntate che ha debuttato sulla piattaforma streaming il primo ottobre 2021, ma è pura realtà.

    Maid racconta la storia di Alex (interpretata da una spettacolare Margaret Qualley), neo madre 23enne che subisce violenza psicologica dal compagno. La giovane cerca in tutti i modi di sottrarsi al controllo di Sean (interpretato da Nick Robinson) e di salvare, oltre a se stessa, anche la figlia Maddy, che nella serie ha 2 anni.

    La violenza che la protagonista racconta di subire a giudici, assistenti sociali, amici e parenti è subdola e sottile, tanto che prima di riuscire a parlarne, lei stessa deve affrontare un periodo di presa di coscienza. In fin dei conti, un uomo che offre la sua casa e la stabilità economica alla compagna con cui condivide una bambina è difficile da incolpare, specialmente se sul corpo della donna non ci sono segni evidenti di violenza fisica. “Lui lo fa perché ha vissuto una vita difficile, piena di mancanze da parte dei genitori e di storie di tossicodipendenza alle spalle”, come viene gentilmente spiegato alla giovane vittima dal suo stesso padre, anche lui ex tossico dipendente ed ex abuser di Paula, madre di Alex.

    Ma non solo, in Maid possiamo percepire in tutto e per tutto la difficoltà di una madre single e non economicamente dipendente di riprendere in mano la propria vita. La fatica nel trovare un tetto stabile e le mille peregrinazioni affinché qualcuno o qualcosa possa concretamente aiutare nel lungo termine. Tra programmi governativi, liste d’attesa per aiuti economici e domande per coperture sanitarie riusciamo a comprendere come in realtà avere un tetto sia solo uno dei mille problemi per una donna madre senza casa. La serie infatti racconta un sistema assistenziale talmente complesso da costituire di fatto un percorso ad ostacoli per le vittime di violenza: le liste sono infinite e i criteri di accessibilità spesso discutibili, l’assicurazione sanitaria si può fare solo se si ha una residenza. Sembra quasi che niente nessuno possa davvero cambiare la situazione di Alex.

    Stephanie Land, la cui storia ispirò il suo primo articolo per Vox e successivamente il libro al quale Maid si ispira, spiega inoltre molto bene lo sguardo giudicante che le veniva rivolto dalle persone che la vedevano usufruire di buoni spesa statali, sussidi per gli alimenti, per assicurare il minimo necessario alla figlia con cui scappò all’età di 29 dalla casa del compagno che abusava di lei.

    Le persone mi guardavano pensando: oh, prego!”, dice in un’intervista per la rivista Vox, come a giudicare la scelta di comprare pannolini per la bimba o cibi di marche più costose, come se Land avesse dovuto ringraziarle per il fatto che, pagando le tasse, fornivano questi servizi ai poveri come lei.Lo sguardo delle persone per bene sulle persone povere pesa forse ancora di più di quanto non faccia la povertà stessa”, stando alle parole della scrittrice. 



    L’autrice di Maid: Hard Work, Low Pay, and a Mother’s Will to Survive (Donna della Pulizie: lavoro duro, paga scarsa e la volontà di sopravvivere di una madre) racconta infatti della sua esperienza come donna delle pulizie nel suo articolo di debutto, il cui titolo era “I spent 2 years cleaning houses. What I saw makes me never want to be rich” (Ho passato 2 anni pulendo case. Quello che ho visto mi porta a non voler mai diventare ricca). Quando le venne chiesto come mai, rispose che l’obiettivo per lei non era diventare ricca e liberarsi della povertà, ma provare a cambiare la mentalità dei suoi clienti e renderli più empatici.

    L’empatia verso le donne madri single povere e abusate, questo è l’obiettivo di Stephanie Land (che sembrerebbe non fare una piega). Combattere il pensiero comune secondo cui “se ci siamo ritrovate in una situazione è perché ce la siamo cercata sulla base delle precedenti decisioni” e la forza di trasmettere umanità nonostante tutto. Quando viene chiesto a Land quale sia la sua opinione riguardo alle donne vittime di violenza domestica che sono incoraggiate a restare tra le braccia del loro carnefice, lei risponde che purtroppo è ancora molto difficile uscire da queste dinamiche. E non solo per la situazione a casa, ma anche per chi al di fuori appoggia nonostante tutto le azioni del compagno, in quanto uomo.

    Nella miniserie televisiva Maid, Alex riesce tramite il lavoro di un’avvocata ad avere la piena custodia della figlia Maddy e a liberarsi dal suo abuser, ma è solo una fiction. Nella realtà, sia per Stephanie sia per Carla che ha subito la sentenza incommentabile questa settimana, non basta avere un’avvocata brava a propria difesa. Non basta perché purtroppo il problema è strutturale ed è per questo che anche chi è al vertice della giustizia è complice dello stigma che avvolge le persone vittime di abusi.

    La svolta finale della vicenda è rappresentata dalla conversazione di Alex e Sean, in cui quest’ultimo riconosce il suo problema e dimostra di volerlo risolvere, e in cui entrambi sono proiettati verso una nuova prospettiva: un futuro diverso. Per Alex questa possibilità si materializza quando incontra spazi e persone che forniscono supporto e ascolto, reti di solidarietà costruite da altre donne. Attraverso la condivisione di esperienze ed un aiuto materiale, le vittime di abusi possono pensare a loro stesse, al loro benessere e sperare nella possibilità di un cambiamento reale.

    Beh, che dire Stephanie, come ce l’hai fatta tu (e Alex) speriamo ce la faccia anche Carla a trovare giustizia, a trovare stabilità ma ancor prima, a trovare spazi e persone capaci di offrirle empatia.