La storia di Tonin Preci, ragazzo albanese, è una storia di vita, un racconto di un operatore discriminato che ci lascia senza parole.
Questa storia inizia negli anni 2000, tra gli schiamazzi notturni della Padova universitaria. Tonin Preçi è un ragazzo albanese dal sorriso facile e la passione per la politica così, finite le scuole superiori, decide di approfondirne la scienza iscrivendosi all’università di Padova. L’italiano non è un problema, generazioni di albanesi sono cresciute a pane e Rai 1. Se non fosse per l’inconfondibile “erre” afflosciata, tipica degli abitanti del paese delle aquile, difficilmente lo si potrebbe distinguere da un indigeno italico.
Gli spritz sono meravigliosi, la vita studentesca anche, ma il destino riporta Tonin in Albania, lo sposa e gli procura un paio di figli. Sono gli anni dell’esplosione delle vendite online, milioni di prodotti spariscono dagli scaffali dei negozi per ricomparire a prezzi più bassi sulle vetrine digitali dei principali e-commerce.
La disintermediazione commerciale falcidia migliaia di esercenti e di conseguenza il consumatore resta privo di un tramite umano che rappresenti il prodotto al momento dell’acquisto: clic, dlin-dlon ed è fatta, il corriere nemmeno ha il tempo di salutare perciò hic et nunc, in perfetto silenzio, si apre e si chiude il processo di acquisto ai tempi del paradiso digitale. Tuttavia qualche bit-granello si può sempre infilare negli algoritmi, infatti l’iphone che hai comprato purtroppo è difettoso, non rimane che chiamare l’assistenza. Componi il numero e risponde un ragazzo gentile che parla un italiano perfetto, ma quella “erre”?
Nel Paese delle Aquile
A Tirana ci sono dei quartieri dove passeggiando per strada si sente un intenso vociare proveniente dai palazzi circostanti; è un chiasso strano, stratificato e monocorde, come se ogni voce stesse recitando un monologo intriso di formule e litanie. Si tratta di sedi delle più importanti società di call center al mondo che in Albania hanno trovato un luogo ideale per stabilire i propri uffici. Manodopera giovane e con ottima conoscenza delle lingue, sistema fiscale molto conciliante nei confronti delle imprese e soprattutto sindacati inesistenti, come ci tenne a sottolineare il Premier socialista Edi Rama di fronte a un compiaciuto pool di imprenditori italiani in una missione commerciale capeggiata dal collega omologo Matteo Renzi.
Il settore in Albania occupa più di 25.000 persone, in maggioranza giovani che terminati gli studi non riescono ad avere accesso ad occupazioni adeguate alla loro formazione. Tra questi c’è Tonin, il quale è stato assunto da Teleperformance, società francese leader tra i fornitori di servizi di assistenza clienti alle aziende. Negli anni Tonin ha seguito i principali marchi internazionali (Apple, Amazon) e vari circuiti di carte di credito. Per gli standard albanesi la paga è buona. Con una media di €400/€500 al mese si guadagna quanto un insegnante, con qualche sacrificio si può prevedere di emanciparsi economicamente e concepire un futuro.
Bisogna formarsi sui prodotti o servizi per i quali si offre assistenza e tuffarsi in un mare di telefonate per 8 ore al giorno. La logica del call center è semplice, si tratta di ottimizzare i tempi: maggiore è il numero di chiamate che ogni lavoratore riesce a gestire e minore saranno i lavoratori che l’azienda dovrà assumere, così da abbattere i costi e far lievitare i profitti.
Tonin ogni giorno sa che dovrà ingaggiare una sfida con la postazione informatica che cronometra la sua attività secondo per secondo. Il ritmo delle chiamate è frenetico, il tempo di stacco tra una telefonata e l’altra è di appena 5 secondi; un respiro troppo profondo costa caro, già dall’altro capo del ricevitore arrivano imprecazioni per la lentezza del servizio. Il sistema che monitora gli intervalli è infallibile. Durante la giornata di 8 ore Teleperformance accorda ai suoi lavoratori tre pause da 15 minuti l’una. Ogni ritardo è registrato dal sistema, i team leader sorvegliano ogni movimento, al secondo ritardo parte il richiamo.
La stessa azienda ha inoltre congegnato sistemi all’apparenza innocui ma nei fatti molto efficaci per grattare ulteriore profitti. Si tratta di invogliare i lavoratori a sacrificare 7 minuti di pausa dei loro 45 giornalieri in cambio dell’ottenimento di un bonus; Teleperformance vincola la gratifica al non superamento del limite dell’8% del tempo di riposo sul totale delle 8 ore. Passando da 45 minuti a 38 di stop, ottiene un incremento dei guadagni in virtù di ricompensi non proporzionali ai suoi dipendenti.
Per l’azienda ogni minuto guadagnato diventa determinante nell’ambito di un organico di migliaia di lavoratori che ne moltiplica l’effetto economico. Analogamente, la dirigenza della sede di Tirana, che occupa 2.500 persone, riesce a risparmiare i costi per l’impiego di ulteriori 110 lavoratori sottraendo alla sua forza lavoro 15 minuti dalla pausa pranzo giornaliera di un’ora. La crisi economica e l’assenza di valide alternative professionali creano le condizioni ideali per l’imposizione arbitraria di regolamenti oppressivi, opponendo a qualsiasi tentativo di contrasto il ricatto della disoccupazione. Quale albanese si sognerebbe di mettere a rischio un prezioso posto di lavoro, unica fonte di sussistenza per sé e l’eventuale propria famiglia?
Tonin contro Golia
La storia del sindacalismo in Albania non è difficile da raccontare. Nei decenni del regime comunista, guidato dal principe dell’isolazionismo autarchico Enver Hoxha, i sindacati hanno sempre svolto il ruolo dell’utile idiota al servizio del partito, vincolati a un sistema basato sul centralismo democratico: falsa discussione, unità d’azione. Dirigenti e Sindacati sono appendici del centro di potere partitico e articolano la disciplina di classe ognuno secondo la propria retorica.
Con la caduta del regime cambiano gli interlocutori ma la modalità rimane la stessa; i sindacati da rossi si trasformano in gialli e portano avanti la consuetudine dell’esclusione della forza lavoro dalla regolamentazione dell’attività professionale. L’indipendenza dal potere politico rimane una chimera e nell’immaginario collettivo il sindacalista è un torbido manovratore di influenze che si abbevera insaziabilmente alla ricca fonte della corruzione nazionale. Non c’è da stupirsi che i colleghi e amici di Tonin gli abbiano dato del pazzo quando all’inizio del 2018 fonda insieme ad un gruppo di visionari il primo sindacato indipendente nella storia dell’Albania.
Questa creatura sconosciuta viene battezzata Solidariteti e si prefigge lo scopo di: 1) Instaurare un nuovo corso nelle relazioni tra lavoratori e azienda all’interno dei call center; 2) Imporre un contratto collettivo aziendale che parifichi le condizioni dei dipendenti; 3) Ottenere una legge nazionale che riconosca la professione del lavoratore dei call center, stabilendone regole e tutele. La diffidenza regna sovrana ma grazie ad un lungo lavoro preparatorio, svolto al riparo dei tentacoli dirigenziali, e alle ottime relazioni internazionali costruite in seno alla federazione transnazionale sindacale Uniglobal, Solidariteti ottiene fondi, si dà una struttura e acquisisce autorevolezza, nonché nuovi iscritti ed attivisti.
In risposta alle prime dichiarazioni ufficiali e campagne informative, organizzate dal sindacato con la partecipazione dei lavoratori di Teleperformance, piombano fulminee le reazioni della dirigenza; i dipendenti sindacalizzati vengono demansionati ed isolati dal resto dello staff, a cui viene intimato di astenersi da qualsiasi comunicazione con i loro colleghi. Tonin è eletto segretario generale, come premio i vertici di Teleperformance lo relegano in un piccolo team lontano dal cuore pulsante dell’attività.
Vengono organizzate proteste e petizioni per l’armonizzazione e l’aumento dei salari ma l’azienda rifiuta qualsiasi confronto delegittimando il sindacato e i suoi attivisti con l’accusa di agire se non altro per motivi personali. La città di Durazzo, dove Teleperformance stabilisce un’importante sede, seconda solo a quella della capitale Tirana, nel 2019 viene scossa da un forte terremoto che provoca la morte di 50 persone e di 200 feriti. Il danneggiamento di strade e la situazione pericolante di edifici residenziali e commerciali semina il panico all’interno della popolazione che teme nuovi crolli.
Nonostante gli appelli di Solidariteti, Teleperformance obbliga i suoi dipendenti a recarsi regolarmente sul posto di lavoro. Nel caos gli episodi di discriminazione nei confronti degli attivisti si moltiplicano fino a raggiungere l’apice nel corso del 2020.
Ubi covid minor cessat. Pandemia e lotte transnazionali
Con i suoi 330.000 dipendenti occupati nelle 80 sedi sparse per l’intero globo Teleperformance è un campione del capitalismo globale e grazie alla capillarità dei suoi servizi ha saputo mettersi al traino delle più importanti multinazionali arrivando a generare fatturati miliardari. Un aspetto chiave della sua crescita è rappresentato dalla capacità di stabilirsi all’interno di aree in cui la fragilità economica e le carenti regolamentazioni del mercato del lavoro garantiscono ampi margini per la massimizzazione del profitto unita ad una buona qualità del servizio.
Paesi come L’Albania, il Marocco, la Colombia e l’India offrono una manodopera a basso costo che garantisce al contempo una perfetta padronanza delle lingue più diffuse nei principali mercati europei e americani. Lo scoppio della pandemia ha messo a dura prova il funzionamento regolare dei servizi di call center: da un lato l’aumento vertiginoso dell’e-commerce e delle richieste di assistenza da remoto, dall’altro l’esigenza di contenere i contagi tra la forza lavoro, hanno spinto Teleperformance ad adottare soluzioni sconsiderate nei confronti della sua forza lavoro. Nelle Filippine i lavoratori sono stati messi di fronte alla scelta tra perdere il posto oppure confinarsi all’interno degli uffici, per evitare gli spostamenti casa-lavoro e ridurre le occasioni di contagio. Alcune immagini ritraggono i dipendenti ammassati sul pavimento nel tentativo di dormire su materassi di fortuna.
Situazioni analoghe si sono verificate in Colombia dove all’interno delle sedi di Teleperformance ci sono state ripetute violazioni delle norme minime riguardanti il distanziamento sociale, la sanificazione degli ambienti e l’uso dei dispositivi di protezione, tanto che con la supervisione e l’aiuto di Uniglobal 50 lavoratori hanno fondato un sindacato sull’onda della protesta, subendo una reazione furiosa da parte di azienda e forze dell’ordine che si è conclusa con il licenziamento dei leader sindacali.
Nei paesi con una migliore diffusione della rete internet in ambito domestico Teleperformance ha riorganizzato i suoi servizi sfruttando il lavoro in remoto e adottando al contempo disposizioni per mantenere il controllo sull’attività dei suoi dipendenti. E’ il caso dell’Albania dove i lavoratori sono costretti ad installare una webcam sul proprio PC di casa in modo che i team leader possano controllare in tempo reale l’operato dei propri sottoposti. Questa misura ha provocato l’immediata reazione di Solidariteti, la quale ha lanciato una campagna di denuncia presso l’ispettorato del lavoro ed il garante per la privacy in difesa dei diritti fondamentali dei lavoratori.
Il caos generato dalla Pandemia ha dato l’occasione a Teleperformance di liberarsi dei suoi dipendenti più scomodi; il primo della lista era Tonin, il quale è stato licenziato in ragione di un improbabile calo del lavoro dovuto alla crisi sanitaria, elemento ben presto contraddetto dall’assunzione di 100 nuovi dipendenti nella stessa sede.
Mentre i legali di Solidariteti si occuperanno della causa per licenziamento discriminatorio, Tonin dovrà affrontare le conseguenze del suo attivismo sindacale; nonostante abbia acquisito una notevole esperienza professionale, l’ostracismo subito a Teleperformance ha fatto breccia tra tutte società di call center di Tirana le quali si guardano bene dal considerare la sua candidatura.